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V.C. c. Slovacchia, N. 18968/07, Corte EDU (Ex Quarta Sezione), 8 novembre 2011

Abstract

Sterilizzazione di una donna di etnia rom senza consenso libero e informato, trattamento inumano e degradante. La mancanza di garanzie per la salute riproduttiva di gruppi etnici vulnerabili viola il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Assenza di prove di una discriminazione strutturale. Indagine penale come mera obbligazione di mezzi.

Riferimenti normativi

Art. 3 CEDU
Art. 8 CEDU
Art. 12 CEDU
Art. 14 CEDU

Massima

1. Le procedure mediche, tra cui la sterilizzazione, possono essere effettuate solo con il previo consenso informato della persona interessata e l'unica eccezione riguarda le situazioni di emergenza in cui il trattamento medico non può essere ritardato e il consenso appropriato non può essere ottenuto. La sterilizzazione non è generalmente considerata un intervento chirurgico salvavita: quindi, a meno che non ci sia un'emergenza che comporti il rischio imminente di danni irreparabili alla vita o alla salute della persona, se la paziente è un’adulta mentalmente capace, il suo consenso informato è un prerequisito della procedura di sterilizzazione, anche qualora questa fosse una "necessità" dal punto di vista medico.

2. Un approccio per cui, in assenza di una minaccia immediata per la salute, la paziente non è pienamente informata sul suo stato di salute, sulla procedura proposta e sulle alternative ad essa e le viene chiesto di acconsentire alla sterilizzazione mentre è in travaglio e poco prima di eseguire un parto cesareo, chiaramente non può permetterle di prendere una decisione di sua spontanea volontà, dopo aver considerato tutte le questioni rilevanti e dopo aver riflettuto sulle implicazioni e discusso la questione con il suo partner. Pertanto, un tale approccio non è compatibile con i principi di rispetto della dignità umana e della libertà umana sanciti dalla Convenzione e con il requisito del consenso informato previsto dai documenti internazionali e, considerando anche le gravi conseguenze sull’integrità fisica e psicologica della paziente, viola l'articolo 3 della Convenzione.

3. Nel contesto di una presunta malpractice medica, quando la violazione del diritto alla vita o all'integrità personale non è intenzionale, l'obbligo di istituire un sistema giudiziario efficace non richiede necessariamente la previsione di un rimedio penale in ogni caso, ma può anche essere soddisfatto con un rimedio civile (da solo o in combinazione con un rimedio nei tribunali penali), che consenta di riconoscere un'eventuale responsabilità dei medici coinvolti e di ottenere un adeguato risarcimento civile. Inoltre, quando non ci sono prove di una malafede e di una volontà di maltrattare, non c'è alcun obbligo per le autorità nazionali di avviare un'indagine penale di propria iniziativa una volta che la questione è giunta alla loro attenzione.  In questi casi, l'articolo 3 non è violato da un punto di vista procedurale.
(Nella fattispecie, la ricorrente non aveva sporto nessuna denuncia, ma un'indagine penale sulla presunta sterilizzazione illegale di diverse donne rom era stata condotta dopo la pubblicazione, da parte del Centro per i diritti riproduttivi e del Centro per i diritti civili e umani, del rapporto "Body and Soul: Forced and Coercitive Sterilisation and Other Assaults on Roma Reproductive Freedom in Slovakia", e infine interrotta con la motivazione che non fosse stato commesso alcun reato nelle pratiche di sterilizzazione di donne di etnia rom.)

4. L'assenza di garanzie che tengano in particolare considerazione la salute riproduttiva di una donna rom, in quanto individuo vulnerabile appartenente a un gruppo etnico particolarmente colpito dalla questione della sterilizzazione e del suo uso improprio - soprattutto in Slovacchia, secondo il Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa -, ha comportato l'inadempimento da parte dello Stato convenuto dell'obbligo positivo di assicurarle una misura sufficiente di protezione che le consenta di godere effettivamente del suo diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, in violazione dell'articolo 8 della Convenzione. (Per questo rilievo peraltro la Corte ha ritenuto di non dover esaminare se i fatti avessero determinato anche una violazione del diritto della ricorrente a sposarsi e a fondare una famiglia, ai sensi dell'articolo 12 della Convenzione).

5. In assenza di informazioni disponibili e di prove oggettive solide abbastanza da dimostrare in modo convincente che i medici hanno agito in malafede, con l'intenzione di maltrattare la ricorrente, non è possibile concludere che la procedura di sterilizzazione faccia parte di una politica discriminatoria strutturale o che il comportamento del personale ospedaliero sia stato intenzionalmente motivato da pregiudizi razziali (cfr. n. 74832/01). Pertanto, le carenze della legislazione e della prassi in materia di sterilizzazioni, che colpiscono in particolare i membri della comunità rom, devono essere preferibilmente considerate solo alla luce dell'articolo 8 della Convenzione, senza che sia necessario determinare separatamente se i fatti del caso abbiano dato luogo anche a una violazione dell'articolo 14 della Convenzione.

(Nel caso di specie, una donna di etnia rom era stata sterilizzata in un ospedale pubblico, in occasione di un parto cesareo. La procedura non era una necessità imminente da un punto di vista medico. Alla ricorrente fu chiesto di dare il suo consenso per iscritto, due ore e mezza dopo essere stata portata in ospedale, quando era in fase di travaglio e in posizione supina. La voce pertinente nella cartella del parto che le fu chiesto di firmare era dattiloscritta e indicava semplicemente "La paziente richiede la sterilizzazione". È stata indotta a firmare questo documento dopo che il personale medico le ha detto che lei o il suo bambino sarebbero morti in caso di un'ulteriore gravidanza.)

Note

1. Misure specifiche volte a eliminare le carenze della legislazione sulla sterilizzazione e a garantire il rispetto delle relative norme internazionali sono state introdotte con l’emanazione della Legge sull'assistenza sanitaria del 2004, che è diventata operativa l’1 gennaio 2005 (dopo i fatti del caso in questione).
2. Opinione dissenziente del Giudice Mijovic, che non fu d'accordo con la decisione della Corte per cui non era necessario un esame separato del reclamo ai sensi dell'articolo 14 della Convenzione. Al contrario, richiamandosi ai principi in materia già sanciti dalla Corte (nn. 57325/00; 15766/03), il Giudice dissenziente riteneva che tale reclamo fosse l'essenza stessa del caso e avrebbe dovuto essere trattato nel merito, con una constatazione di violazione dell'articolo 14.
3. La pratica della sterilizzazione forzata è (e lo era già all'epoca dei fatti in questione) condannata, come forma di violenza contro le donne, da molti documenti internazionali e atti di soft law (cfr., per esempio: Comitato per l'eliminazione della discriminazione contro le donne, Raccomandazione n. 24, 20a sessione, 1999) e la Convenzione di Istanbul del 2011 (non firmata dalla Slovacchia) ne ha in seguito addirittura imposto l'incriminazione agli Stati firmatari. Inoltre, questa pratica è inclusa, nello Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale (di cui la Slovacchia è parte), tra gli atti che possono costituire genocidio o crimini contro l'umanità.

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