Il divieto di indossare il velo islamico imposto ad una lavoratrice di un’impresa (privata) non costituisce discriminazione diretta fondata sulla religione.
Riferimenti normativi
Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro
Massima
1. In riferimento alla giurisprudenza della Corte, il divieto di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi segno visibile relativo alle convinzioni politiche, ideologiche o religiose, derivante da una norma (interna) di un’impresa privata, non costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali nei confronti dei lavoratori che seguono regole di abbigliamento in ragione di obblighi religiosi. Inoltre, viene rilevato che il fatto di indossare in modo visibile segni di piccole dimensioni possa essere anche considerato opportuno. Tuttavia, il velo islamico non costituisce un segno religioso di piccole dimensioni, quindi, spetta al giudice del rinvio esaminare la situazione caso per caso.
2. Risulta dalle disposizioni costituzionali tedesche che la volontà di un datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità religiosa nei confronti della clientela è legittima solo se l’assenza di tale neutralità gli provocherebbe un danno economico. Dunque, le disposizioni nazionali tedesche non sono in contrasto con la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro. Infatti, esse non vietano una politica di neutralità politica, ideologica o religiosa da parte di un datore di lavoro, ma si limitano a stabilire un requisito aggiuntivo per la sua attuazione, vale a dire l’esistenza di una minaccia sufficientemente concreta di svantaggio economico per il datore di lavoro.
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