Logo law and pluralism
Logo Università Bicocca

Serif c. Grecia, N. 38178/97, Corte EDU (Seconda Sezione), 14 dicembre 1999

Data
14/12/1999
Tipologia Sentenza
Numerazione 38178/97

Abstract

Nomina di un leader religioso musulmano da parte dello Stato. Interferenza con l’organizzazione interna di una comunità religiosa. Condanna di un presunto falso leader di una comunità musulmana locale.

Riferimenti normativi

Art. 9 CEDU

Massima

1. Nelle società democratiche lo Stato non ha bisogno di adottare misure per garantire che le comunità religiose rimangano o vengano sottoposte ad una direzione unitaria.

2. Condannare una persona per il semplice ruolo di leader religioso di un gruppo che l’abbia volontariamente seguita non può considerarsi compatibile con le esigenze del pluralismo religioso all’interno di una società democratica.

3. Benché possano generarsi tensioni nei casi in cui una comunità religiosa o qualsiasi altra comunità si divida, si tratta di una conseguenza inevitabile del pluralismo. Il ruolo delle autorità nazionali in tali circostanze non consiste nel rimuovere la causa della tensione eliminando il pluralismo ma nel garantire che i gruppi in conflitto si tollerino a vicenda.

(Nel caso di specie, il ricorrente – che rivendicava di essere il leader religioso di una comunità turco-musulmana locale della Tracia occidentale – era stato condannato per aver usurpato le funzioni di un ministro di una “religione riconosciuta” ufficialmente nominato e per aver indossato in pubblico la relativa livrea pur senza averne il diritto. La Corte ha stabilito all’unanimità che l’interferenza in questione violasse il diritto del ricorrente alla libertà religiosa ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione).

Note

Il Governo greco sosteneva che la condanna del ricorrente fosse una misura necessaria in una società democratica in quanto le sue azioni minavano il sistema posto in essere dallo Stato per organizzare la vita religiosa della comunità musulmana nella regione. Tuttavia, secondo la Corte non vi era alcuna indicazione del fatto che il ricorrente avesse mai tentato di esercitare le funzioni giurisdizionali e amministrative previste dalla legislazione sui mufti e gli altri ministri di “religioni riconosciute”.