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Gromada Ukrayinskoyi Greko-Katolytskoyi Tserkvy Sela Korshiv c. Ucraina, N. 9557/04, Corte EDU (Quinta Sezione), 3 maggio 2016 (dec.)

Data
03/05/2016
Tipologia Sentenza
Numerazione 9557/04

Abstract

Chiesa di proprietà pubblica. Concessione dell’uso dell’edificio a due diverse comunità religiose. Il ricorso è irricevibile perché manifestamente infondato.

Riferimenti normativi

Art. 9 CEDU
Art. 1 Prot. 1 CEDU

Massima

1. Un ricorrente può lamentare una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 solo nella misura in cui le misure censurate riguardano la sua "proprietà", secondo il significato di tale disposizione.  "Proprietà" può riferirsi tanto ai casi in cui il ricorrente sia effettivamente in possesso di un bene, quanto a quelli nei quali egli possa sostenere di avere almeno una "legittima aspettativa" di ottenere l'effettivo godimento di un diritto di proprietà.

2. L'articolo 1 del Protocollo n. 1 non può essere interpretato nel senso di imporre agli Stati contraenti un obbligo generale di restituire la proprietà loro trasferita in un momento antecedente la ratifica Convenzione. Né l'articolo 1 del Protocollo n. 1 impone alcuna restrizione alla libertà degli Stati contraenti di determinare la portata della restituzione della proprietà e di scegliere le condizioni in base alle quali ripristinare i diritti di proprietà agli ex proprietari. In determinate circostanze il comportamento delle autorità può far sorgere legittime aspettative. C'è, tuttavia, una differenza tra una mera speranza di acquisire una proprietà e una "legittima aspettativa" che deve essere di natura più concreta e basata su una disposizione normativa o un atto giuridicamente rilevante, come una decisione giudiziaria. Allo stesso modo, non si può affermare che sorga alcuna "legittima aspettativa" in caso di controversia sulla corretta interpretazione e applicazione del diritto interno e le argomentazioni del ricorrente vengano successivamente respinte dai tribunali nazionali.

3. L'articolo 9 non vieta, in linea di principio, alle autorità nazionali di prescrivere l'uso alternato di un luogo di culto da parte di due diverse comunità religiose, in particolare laddove ciò sia giustificato da specifiche circostanze storiche.
(Nel caso di specie, una chiesa consacrata al culto cattolico, espropriata durante il regime sovietico, era stata concessa in uso a due diverse comunità cristiane, una ortodossa e una cattolica (la ricorrente). Quest’ultima aveva agito in giudizio domandando, senza successo, che fosse accertata e dichiarata la sua proprietà esclusiva sull’edificio. Nel dichiarare il ricorso inammissibile, giusta la sua manifesta infondatezza, la Corte osserva tra l’altro che l’assegnazione della chiesa alle due comunità, chiamate ad alternarsi nel suo godimento, fosse stata una soluzione ragionevole e proporzionata, rispettosa degli interessi di entrambe)