Rymsko-Katolytska Gromada Svyatogo Klymentiya v Misti Sevastopoli c. Ucraina, N. 22607/02, Corte EDU (Quinta Sezione), 3 maggio 2016 (dec.)
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Abstract
Mancata restituzione a un’organizzazione religiosa di un edificio di culto espropriato durante la dominazione sovietica dell’Ucraina. Il ricorso, che deduce una violazione dell’art. 9 della CEDU e dell’art. 1 del Protocollo 1, è manifestamente infondato.
Riferimenti normativi
Art. 9 CEDU
Art. 1 Prot. 1 CEDU
Massima
1. Un ricorrente può lamentare una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 solo nella misura in cui le misure censurate riguardano la sua "proprietà", secondo il significato di tale disposizione. "Proprietà" può riferirsi tanto ai casi in cui il ricorrente sia effettivamente in possesso di un bene, quanto a quelli nei quali egli possa sostenere di avere almeno una "legittima aspettativa" di ottenere l'effettivo godimento di un diritto di proprietà.
2. L'articolo 1 del Protocollo n. 1 non può essere interpretato nel senso di imporre agli Stati contraenti un obbligo generale di restituire la proprietà loro trasferita in un momento antecedente la ratifica Convenzione. Né l'articolo 1 del Protocollo n. 1 impone alcuna restrizione alla libertà degli Stati contraenti di determinare la portata della restituzione della proprietà e di scegliere le condizioni in base alle quali ripristinare i diritti di proprietà agli ex proprietari. In determinate circostanze il comportamento delle autorità può far sorgere legittime aspettative. C'è, tuttavia, una differenza tra una mera speranza di acquisire una proprietà e una "legittima aspettativa" che deve essere di natura più concreta e basata su una disposizione normativa o un atto giuridicamente rilevante, come una decisione giudiziaria. Allo stesso modo, non si può affermare che sorga alcuna "legittima aspettativa" in caso di controversia sulla corretta interpretazione e applicazione del diritto interno e le argomentazioni del ricorrente vengano successivamente respinte dai tribunali nazionali.
3. L’articolo 9 della CEDU non garantisce, in quanto tale, alcun diritto a tornare proprietari di un bene confiscato molto tempo prima.
(Nel caso di specie, l’organizzazione ricorrente aveva richiesto di divenire proprietaria di un edificio originariamente consacrato al culto cattolico, espropriato durante il regime sovietico e convertito, dapprima, in una centrale elettrica e quindi in un cinema. I giudici interni avevano escluso il diritto dell’organizzazione sulla base di un’interpretazione della normativa rilevante. La Corte ritiene che le censure della ricorrente siano state vagliate in maniera accurata, sicché essa non potrebbe vantare una “legittima aspettativa” rilevante ai sensi del Protocollo 1. Le dedotte violazioni dell’art. 9 della CEDU vengono invece ritenute manifestamente infondate)