Diritto alla vita. Comportamenti violenti degli agenti di polizia determinati da pregiudizi etnici o razziali. Obbligo di svolgere indagini effettive in ordine al movente razzista di aggressioni e comportamenti violenti. Divieto di discriminazione. Onere della prova.
Riferimenti normativi
Art. 2 CEDU
Art. 14 CEDU
Massima
1. Non si può escludere la possibilità che in alcuni casi di presunta discriminazione il Governo convenuto abbia l’onere di confutare l’ipotesi di una condotta discriminatoria e – ove ciò non accada – sia riconosciuta una violazione dell'articolo 14 CEDU, sotto il profilo sostanziale. Tuttavia, laddove si afferma che un atto violento è stato motivato da un pregiudizio razziale, tale approccio equivarrebbe a richiedere allo Stato convenuto di dimostrare in ogni caso l'assenza di un particolare atteggiamento soggettivo da parte della persona interessata. Mentre nei sistemi giuridici di molti Paesi, in materia di lavoro o di prestazione di servizi, la prova dell'effetto discriminatorio di una politica o di una decisione consente di prescindere dalla dimostrazione del movente della condotta contestata, tale approccio non può essere direttamente trasposto nei casi in cui si asserisce che un atto di violenza sia stato indotto dal pregiudizio razziale.
2. Il mancato svolgimento di un’indagine effettiva in ordine alle violenze perpetrate dagli agenti di polizia non comporta necessariamente l’onere per lo Stato convenuto di provare che tali condotte non sono state determinate da pregiudizi etnici o razziali (caso in cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato la Bulgaria per la violazione dell’art. 2 CEDU, sotto il profilo procedurale, mentre ha escluso che il movente razzista delle violenze commesse dagli agenti di polizia fosse provato al di là di ogni ragionevole dubbio).
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