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Al Nashiri c. Polonia, N. 28761/11, Corte EDU (Quarta Sezione), 24 luglio 2014

Abstract

Indagini effettive come strumento utile a stabilire la verità e ad incentivare la fiducia nelle istituzioni. Dimensione procedurale dell'art. 3 CEDU. Dimensione collettiva del diritto alla verità. Riservatezza delle indagini relative a questioni di sicurezza nazionale. 

Riferimenti normativi

Art. 3 CEDU

Massima

1. Il mancato svolgimento di un’inchiesta ufficiale ed effettiva a fronte della denuncia del ricorrente di essere stato sottoposto a detenzione segreta e di aver subito tortura e maltrattamenti viola l'art. 3 della Convenzione EDU nella sua dimensione procedurale. Infatti, in assenza di indagini idonee ad accertare la verità rispetto alla presunta inosservanza dell’art. 3 CEDU, il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti risulta concretamente inefficace.

2. Il diritto a conoscere la verità riguardo ai fatti oggetto di indagine è funzionale a soddisfare gli interessi non solo della vittima e della sua famiglia, ma anche di coloro che sono stati sottoposti a condotte simili e dell'intera collettività, che ha il diritto di conoscere i fatti accaduti.

3. La riservatezza o la segretezza della documentazione relativa a un’indagine in corso non consente alle autorità inquirenti di rifiutarne la divulgazione alle parti coinvolte in un procedimento. Anche quando sussiste un interesse pubblico a mantenere segrete talune informazioni, specialmente in riferimento a casi relativi alla lotta al terrorismo, esso deve essere bilanciato con il diritto di difesa delle parti, senza che siano compromesse eccessivamente le esigenze di sicurezza nazionale.

4. L’espletamento di indagini effettive rispetto a gravi violazioni dei diritti umani è un elemento fondamentale nella maturazione della fiducia nelle istituzioni. Una seria attività di indagine, infatti, testimonia l’aderenza delle autorità inquirenti ai principi dello stato di diritto ed esclude la tolleranza o il coinvolgimento delle istituzioni nella perpetrazione dei crimini stessi. Per le stesse ragioni deve essere assicurato un livello minimo di diffusione dei documenti relativi alle indagini o ai risultati conseguiti, in maniera tale che la responsabilità dei colpevoli sia sancita non solo in teoria, ma anche in pratica.

(Nel caso di specie, il ricorrente, cittadino saudita sospettato di aver posto in essere atti di terrorismo, catturato negli Emirati Arabi Uniti e trasferito, tra l’altro, in un centro di detenzione segreto della CIA in Polonia, esperisce le vie giudiziali, lamentando di essere stato arbitrariamente detenuto e di aver subito gravi maltrattamenti. L’attività di indagine intrapresa dalle autorità polacche si rivela, però, insufficiente a chiarire i fatti denunciati, in considerazione, tra l’altro, della volontà che le attività della CIA sul territorio polacco e la complicità delle autorità polacche in esse rimanessero segrete).