1. Il legislatore, nel disciplinare i requisiti per l'accesso e il mantenimento delle cariche che comportano l'esercizio di funzioni pubbliche, ben può ricercare un bilanciamento tra il diritto di elettorato passivo, da un lato, e la tutela oggettiva del buon andamento e della legalità nella pubblica amministrazione, dall’altro.
2. È dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Lecce in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 2, 3, 48 e 51, primo comma, Costituzione, dell'art. 11, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 235 del 2012, il quale prevede l'automatica sospensione dalla carica degli amministratori locali che, a prescindere dal momento della condanna, sono stati condannati in via non definitiva per determinati reati gravi o comunque offensivi della pubblica amministrazione. La norma censurata costituisce una misura cautelare non irragionevole, diretta a evitare che coloro che sono stati condannati anche in via non definitiva per determinati reati gravi o comunque offensivi della pubblica amministrazione rivestano cariche amministrative, mettendo così in pericolo il buon andamento dell'amministrazione stessa e la sua onorabilità. (Il Tribunale ordinario di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell’articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190), in riferimento agli artt. 1, secondo comma, 2, 3, 48 e 51, primo comma, della Costituzione).