1. Le dichiarazioni di un politico, relative al tema dell’immigrazione e dell’integrazione degli immigrati, che presentano un’immagine negativa della comunità musulmana nel suo complesso e che risultano idonee a suscitare nell’opinione pubblica sentimenti di ostilità, di rifiuto e di timore per la sicurezza nazionale, non sono ammesse ai sensi della Convenzione. Ciò a prescindere dal fatto che tali affermazioni debbano essere ricondotte a un dibattito di interesse generale.
2. Le ingerenze nella libertà di espressione di un politico che, in virtù della sua carica, rappresenta i suoi elettori, riferisce le loro preoccupazioni e difende i loro interessi, devono essere valutate con particolare rigore. Chi prende parte al dibattito pubblico, infatti, è portato a ricorrere all’esagerazione e, talvolta, alla provocazione, nel formulare le sue osservazioni. Tuttavia, tali osservazioni devono essere espresse nel rispetto della reputazione e dei diritti altrui.
(Nel caso di specie, il ricorrente, presidente del partito politico francese Front National, era stato condannato per incitamento all’odio, alla discriminazione e alla violenza in considerazione di dichiarazioni relative ai musulmani immigrati in Francia da lui rese durante un’intervista rilasciata al quotidiano Le Monde. Tra l’altro, egli aveva affermato che "le jour où nous aurons, en France, non plus 5 millions mais 25 millions de musulmans, ce sont eux qui commanderont". Lamentava, pertanto, la violazione dell’art. 10 CEDU. La Corte ha valutato l’ingerenza nel diritto alla libertà di espressione del ricorrente necessaria in una società democratica e ha dichiarato il ricorso inammissibile).