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Focus

Uno sguardo d’insieme su alcune tematiche di specifico interesse per il pluralismo

La finanza islamica: un volano per l’integrazione?

La finanza islamica: un volano per l’integrazione?

La finanza islamica: un volano per l’integrazione?

 

La presenza di fedeli musulmani in Italia, secondo un rapporto del Consiglio per i rapporti con l’Islam italiano, è stimata in circa 1.600.000 persone, i.e. il 2,5% della popolazione.

Tale numero è destinato a crescere in modo esponenziale in tutto l’Occidente. Entro il 2030, secondo il rapporto del Pew Forum on Religion and Public Life, i musulmani saranno il 27% della popolazione totale mondiale e il 9% di quella europea. È una realtà che non può più essere considerata marginale bensì una comunità di fedeli che si sta facendo sempre più evidente. Si aprono dunque una serie di interrogativi che riguardano il tema dell’inclusione in una società plurale ancorata al principio di laicità come quella italiana anche per quanto riguarda l’integrazione economica.

 

Nella religione islamica, il fedele è tenuto al rispetto di determinati precetti che spaziano tanto nella sfera pubblica quanto nella sfera privata. L’Islam è una religione onnicomprensiva: esiste quindi un fil rouge che si articola tra i vari aspetti della vita del fedele i quali sono interamente normati dalla Shari’ah. Anche l’ambito economico-finanziario, perciò, è interamente normato dal diritto islamico.

Il fedele musulmano si trova quindi costretto tra l’esigenza di rispettare i propri principi religiosi e la necessità di accedere ai servizi finanziari.

 

Nella Legge islamica, quattro sono i fondamentali corollari che sovraintendono alla regolazione di qualsiasi attività finanziaria. Il divieto del ribà (interesse) e il principio della condivisione del rischio e del rendimento (profit and loss sharing). Pertanto, risulta vietato qualsiasi tasso di rendimento positivo, fisso e predeterminato, che venga garantito a prescindere dalla performance dell’investimento. Il Corano proibisce inoltre esplicitamente anche qualsiasi forma di speculazione (maysìr) e il guadagno basato sull’incertezza e sull’azzardo (ghàrar).  

A questi quattro principi si aggiunge anche, indirettamente, la proibizione dell’uso, del commercio o dell’investimento in beni o attività proibite (haram). In ultima battuta, v’è la zakàt, la distribuzione equa della ricchezza. Chiunque possieda un ammontare minimo di ricchezza è obbligato a purificare il proprio patrimonio con il pagamento di un’offerta regolamentata che prende la forma di una vera e propria imposta sui redditi.

Il mondo islamico basa il sistema finanziario sul concetto della Shirkah, per cui le parti condividono profitti e perdite di qualsiasi attività finanziaria; in altri termini le parti coinvolte raggruppano una parte del loro capitale o lavoro al fine di uno schema ‘to share’ di business. È una tecnica che viene avvalorata dalla dottrina perché offre risultati positivi sull’economia reale.

 

Negli ultimi anni, la finanza islamica si è dimostrata un settore in forte crescita (anche) nei Paesi Occidentali ponendosi come modello alternativo di intermediazione finanziaria fondato su elementi etici. Attualmente la finanza islamica ha raggiunto cifre consistenti, le quali sono drasticamente destinate a crescere nel breve periodo rappresentando una realtà in continua espansione: i sukuk, certificati di investimento conformi alla Legge islamica, a fine 2016 rappresentavano il 17% del settore e solo in quell’anno erano stati emessi titoli per 88 miliardi di dollari. Secondo Moody’s, la crescita annuale di questi prodotti è stimata intorno ad una cifra che varia tra il 14-15%. e in breve tempo dovrebbero raggiungere i 148 miliardi di dollari.

 

Lo sviluppo della finanza islamica, di recente, è stato favorito dal fatto che la comunità musulmana conta, in Europa, oltre 17 milioni di persone, pari al 4,6% della popolazione complessiva.

Le istituzioni finanziarie (convenzionali) hanno sviluppato prodotti, servizi e istituzioni interamente dedicati ad esso. Nella maggior parte dell’esperienze continentali si è optato per un modello di dual-banking in cui i due differenti sistemi, convenzionale e islamico, condividono lo stesso habitat macroeconomico con punti di interdipendenza. Molti intermediari americani ed europei (quali Citigroup, Deutsche, HSBC, UBS, etc.) hanno creato delle “finestre islamiche”, ossia delle strutture interne separate, sia giuridicamente che contabilmente, che offrono prodotti e servizi di finanza islamica. Il tasso di crescita attuale del fenomeno è stimato intorno al 20% annuo e le banche islamiche operative sono circa 500 in 75 paesi.

L’Italia, dal canto suo, appare interessata a queste forme finanziarie quantomeno dal punto di vista dei possibili investimenti che soggetti appartenenti al mondo islamico potrebbero effettuare sui mercati del nostro Paese, nonché dalla raccolta di capitali che gli intermediari italiani potrebbero effettuare nei Paesi islamici. Tuttavia, a differenza di molti paesi europei ed extra-europei, non dispone di una vera e propria Islamic Bank, tantomeno di Islamic windows che rispettino la conditio sine qua non della separazione del fondo islamico e convenzionale. Tutto ciò nonostante il 32,9% della popolazione straniera residente in Italia sia di fede islamica.

Il modello economico-finanziario islamico lascia indubbiamente aperti molteplici percorsi di approfondimento volti allo studio del confronto di tale modello finanziario con il comparto della finanza etica, nonché all’analisi dei possibili punti di incontro tra l’insieme delle normative presenti nei sistemi giuridici occidentali al fine di contenere il fenomeno dell’usura e del money laundering con i precetti shariatici. Più in generale, la finanza islamica potrebbe rappresentare un importante strumento di integrazione del fedele musulmano all’interno del tessuto sociale in cui vive.

 

(Focus a cura di Alessandro Cupri)

 

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