“Ego civis europeus sum”, ovvero della cittadinanza europea
La cittadinanza dell’Unione europea costituisce, forse, la più alta espressione di quella «unione sempre più stretta tra i popoli dell’Europa» (Trattato di Maastricht, preambolo). Infatti, l’esistenza di un vincolo di appartenenza all’Unione, che si affianca a quello statale, permette a una larga schiera della popolazione europea di poter affermare «ego civis europeus sum» (Conclusioni Avvocato generale Jacobs, in CGUE, Christos Konstantinidis v Stadt Altensteig, Causa C-168/91, 9 dicembre 1992, par. 46), da cui deriva una serie di diritti precedentemente inimmaginabili a livello sovranazionale. Il presente focus è dedicato al tema della cittadinanza europea come momento di riflessione sull’importanza che tale istituto ricopre non solo a livello giuridico, ma anche nella vita quotidiana di centinaia di milioni di abitanti del continente europeo. Si anticipa così un tema che, in vista delle prossime elezioni per il Parlamento europeo, avrà una ampia eco nel dibattito accademico e civile. Per ripercorrere il tema della cittadinanza europea è necessario prendere le mosse, prima di tutto, dal testo dei Trattati per passare, poi, alla giurisprudenza della Corte di giustizia, che tanta parte ha avuto nello sviluppo e consolidamento di questo istituto.
La cittadinanza dell’Unione europea è stata ufficialmente istituita con il Trattato di Maastricht del 1992. In realtà, già a metà degli anni Settanta dello scorso secolo si era posta la questione dell’attribuzione di nuovi diritti ai cittadini degli Stati membri, tanto da istituire, con il Consiglio europeo di Fontainebleau del giugno 1982, un “Comitato sull’Europa dei cittadini” – nato come Comitato Adonnino – senza però che i suoi lavori venissero recepito con l’Atto unico del 1986. Così, per arrivare ad un primo accordo politico sull’istituzione di una cittadinanza europea, complementare a quella degli Stati membri, si dovrà attendere il Consiglio europeo di Dublino del 1990, con cui vennero conferiti ulteriori diritti ai cittadini degli Stati membri rispetto a quelli già derivanti dai Trattati – il diritto di libera circolazione e di soggiorno accordati con il Trattato di Roma del 1957 – e attivabili direttamente nei confronti dell’Unione oltre che verso gli Stati membri, come accadeva precedentemente. Tra questi nuovi diritti di cittadinanza si annoveravano: il diritto di petizione, il diritto di rivolgersi al Mediatore europeo e di avvalersi della propria lingua nazionale per scrivere e ricevere risposte dagli organi della Comunità. Il contenuto essenziale dell’accordo raggiunto con il Consiglio europeo di Dublino verrà, con minime variazioni, recepito all’interno del Trattato di Maastricht. Successivamente, l’istituto giuridico della cittadinanza europea verrà inserito anche nel Trattato che istituisce una Costituzione europea del 2004, ma mai entrato in vigore, in ragione della bocciatura referendaria di Francia e Paesi Bassi. Tuttavia, seppure con lievi modifiche rispetto all’originaria formulazione del 1992, la cittadinanza verrà confermata con il Trattato di Lisbona del 2007, che oggi sancisce la definitiva formulazione dei Trattati.
Specificamente, al tema della cittadinanza sono dedicati gli articoli 9, 10, 11 del Trattato sull’Unione Europea (TUE) e dagli articoli 20, 21, 22, 23 e 24 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE). Volendo riassumere sinteticamente il contenuto di queste disposizioni, vi si afferma che, tra l’altro, i cittadini dell’Unione godono del diritto di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri. Da ciò deriva anche il diritto di esercitare il diritto di voto ed eleggibilità non solo presso il Parlamento europeo, ma anche alle elezioni comunali nello Stato membro di residenza. Inoltre, viene sancito il diritto alla tutela diplomatica e consolare presso Stati terzi, così come il diritto di presentare petizioni al Parlamento europeo, di ricorrere presso il Mediatore europeo, di accedere ai documenti e ad una buona amministrazione. Questi diritti connessi con la cittadinanza europea sono stati confermati, poi, con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che dedica il Titolo V al tema della “Cittadinanza”. Il godimento di questi diritti è direttamente connesso con il possesso della cittadinanza di uno Stato membro. Le conclusioni dell’Avvocato generale nel caso Rottmann aiutano a comprendere cosa significhi veramente ‘cittadinanza europea’, per cui «[…] essa presuppone l’esistenza di un collegamento di natura politica tra i cittadini europei, anche se non si tratta di un rapporto di appartenenza ad un popolo. Tale nesso politico unisce i popoli dell’Europa. Esso si fonda sul loro impegno reciproco ad aprire le rispettive comunità politiche agli altri cittadini europei e a costruire una nuova forma di solidarietà civica e politica su scala europea» (Conclusioni Avvocato generale Poiares Maduro, in CGUE, Janko Rottman v Freistaat Bayern, Causa C-135/08, 2 marzo 2010, par. 23).
La cittadinanza dell’unione è quindi definibile come sui generis, in quanto assume quale unico suo presupposto di attribuzione il possesso della cittadinanza di un altro ordinamento: è, come l’ha definita qualche studioso, una «cittadinanza senza nazionalità» (Rossi, 2006, 116). Spetta, dunque, agli Stati determinare chi sono i propri cittadini e i criteri per l’acquisizione della cittadinanza nazionale, da cui deriva automaticamente la cittadinanza europea, come affermato dai giudici della Corte di giustizia nel caso Kaur (C-192/99), del febbraio 2001. In realtà, la Corte di giustizia si era già espressa sul punto con il caso Micheletti (C-369/90), del luglio 1992, in cui i giudici affermavano che la «determinazione dei modi di acquisto della cittadinanza rientrano […] nella competenza di ciascuno stato membro, competenza che deve essere esercitata nel rispetto del diritto comunitario» (CGUE, Mario Vicente Micheletti and others v. Delegación del Gobierno en Cantabria, Caso C-369/90, 7 luglio 1992, par. 10). Con il caso E.P. c. Préfet du Gers e Instutut national de la statistique et des études économiques (C-673/20), i giudici della Corte di giustizia hanno ricordato, al contrario, che la perdita della cittadinanza europea deriva non solo dal venir meno dello status di cittadino a livello nazionale, ma anche – coma accaduto con la Brexit – nel caso del recesso di uno Stato membro dall’Unione, come previsto dall’articolo 50 TUE. Altrimenti detto, la qualifica di cittadino europeo permane fintantoché lo Stato di cui si è cittadini è membro dell’Unione.
Inoltre, con il Trattato di Lisbona – sulla scorta degli articoli 9 TUE e 20 TFUE – la cittadinanza europea è passata da “complementare” ad “aggiuntiva” a quella nazionale. Ciò ha portato a considerare quella europea come una vera e propria seconda cittadinanza, dotata di un autonomo significato, per cui tale status di cittadino è destinato a divenire fondamentale in riferimento alla possibilità di farne valere i diritti non solo all’interno dell’ordinamento eurounitario, ma anche nei confronti del proprio Stato. Almeno per ora, quindi, non è sostenibile l’esistenza di una cittadinanza europea autonoma da quella nazionale.
Per quanto riguarda l’evoluzione del concetto di cittadinanza rispetto al tema del godimento dei diritti, un ruolo centrale è stato ricoperto dalla giurisprudenza della Corte di giustizia. In Marie-Nathalie D'Hoop v Office national de l'emploi, la Corte ha affermato che «un cittadino dell'Unione ha diritto a che gli venga riconosciuto in tutti gli Stati membri il medesimo trattamento giuridico accordato ai cittadini di tali Stati membri che si trovino nella medesima situazione», e che, pertanto, «sarebbe incompatibile con il diritto alla libera circolazione che gli si potesse applicare nello Stato membro di cui è cittadino un trattamento meno favorevole di quello di cui beneficerebbe se non avesse usufruito delle facilitazioni concesse dal Trattato in materia di circolazione» (CGUE, Marie-Nathalie D'Hoop v Office national de l'emploi, Caso C-224/98, 11 luglio 2002, par. 30). L’obiettivo principale della cittadinanza europea era proteggere i cittadini che si spostavano in un altro Stato. Tuttavia, nel corso degli anni e nei casi che coinvolgevano la cittadinanza europea, la Corte di giustizia ha ampliato la considerazione del fattore di collegamento con il diritto dell’Unione, passando dall'approccio tradizionale, che richiedeva la presenza di una situazione transfrontaliera, all'estensione del suo ambito di applicazione.
La Corte di giustizia ha così finito per dichiarare che i cittadini europei possono rivendicare alcuni diritti nei riguardi del proprio paese di cittadinanza, anche in assenza dell’esercizio del diritto di circolazione e soggiorno. Le potenzialità di questo nuovo approccio sono emerse con evidenza nel caso Zambrano (C-34/09), in cui la Corte ha dichiarato che l’articolo 20 TFUE osta a provvedimenti nazionali che possono privare i cittadini dell'Unione «del godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione» (CGUE, Gerardo Ruiz Zambrano v. Office national de l’emploi (ONEm), Caso C-34/09, 8 marzo 2011, par. 45). Applicando questo criterio al caso specifico, essa ha concluso che un cittadino di un Paese terzo che si trova in uno Stato membro, di cui sono cittadini i propri figli minori a carico, ha il diritto di risiedere e lavorare in quello stato membro. Il rifiuto di concedere al genitore tali diritti priverebbe infatti i bambini del «godimento reale ed effettivo dei diritti connessi allo status di cittadino dell’Unione» (CGUE, Zambrano, C-34/09, par. 45). La Corte ha ulteriormente specificato la validità di tale criterio anche nel caso in cui i minori non abbiano mai esercitato il loro diritto alla libera circolazione all'interno dell'UE. Ciò vuol dire, in altre parole, che gli Stati incontrano sempre più limitazioni nel trattamento dei propri cittadini, in ragione del fatto che essi dispongono dei diritti (e dello status di cittadini europei) che derivano direttamente dai trattati.
Tutto ciò ha portato, parte della dottrina, a ritenere che si sia di fronte ad un’importante conquista nel processo di integrazione europea, anche per la valenza simbolica che la cittadinanza europea assumerebbe. La vicenda dell’istituzione di una tale cittadinanza rappresenta, quindi, oltre che un progetto di unione politica anche il tentativo di costruzione di una identità europea nelle coscienze dei cittadini dei Paesi membri.
(Focus a cura di Edin Skrebo)
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Giurisprudenza essenziale correlata:
ECJ, E.P. c. Préfet du Gers e Instutut national de la statistique et des études économiques, Causa C-673/20, 9 giugno 2022
ECJ, Gerardo Ruiz Zambrano v. Office national de l’emploi (ONEm), Causa C-34/09, 8 marzo 2011
ECJ, Janko Rottmann v. Freistaat Bayern, Causa C-135/08, 2 marzo 2010
ECJ, Marie-Nathalie D'Hoop v Office national de l'emploi, Causa C-224/98, 11 luglio 2002
ECJ, Mario Vicente Micheletti and others v. Delegación del Gobierno en Cantabria, Causa C-369/90, 7 July 1992
ECJ, R v. Secretary of State for the Home Department, ex parte Kaur, Causa C-192/99, 20 febbraio 2001