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J.I. c. Croazia, N. 35898/16, CEDU (Prima Sezione), 8 settembre 2022

Abstract

Presunte minacce di morte rivolte a una vittima di violenza sessuale da parte del suo abusatore. Violazione dell’art. 3 CEDU in considerazione della mancanza di indagini effettive.

Riferimenti normativi

Art. 3 CEDU
Art. 14 CEDU

Massima

1.    Per rientrare nell’ambito di applicazione dell'art. 3 CEDU, un maltrattamento deve raggiungere un livello minimo di gravità. In sede di valutazione del raggiungimento di tale livello minimo, devono essere considerati diversi fattori, tra cui la natura e il contesto del trattamento, la sua durata, i suoi effetti fisici e mentali, così come il sesso della vittima e il rapporto tra la vittima e l’autore del trattamento. 

2.    Anche in assenza di danni fisici o di intense sofferenze fisiche o mentali, un trattamento che umilia o svilisce la dignità umana di un individuo, o che suscita sentimenti di paura, angoscia o inferiorità tali da intaccarne l’integrità fisica o la forza morale, può essere definito degradante ai sensi dell'art. 3 CEDU. 

3.    Il divieto di maltrattamenti ex art. 3 CEDU riguarda tutte le forme di violenza domestica, comprese le minacce di morte. In queste circostanze, le autorità nazionali sono gravate dall’obbligo di svolgere indagini effettive in ordine alle denunce delle presunte vittime. 

(Nel caso di specie, la ricorrente, cittadina croata di origini rom, lamentava la violazione dell’art. 3 CEDU in considerazione dell’incapacità delle autorità croate di tutelarla rispetto alle minacce di morte ricevute dal padre, precedentemente condannato per violenza sessuale nei suoi confronti. La Corte, dopo aver qualificato le minacce ricevute dalla ricorrente come un trattamento inumano ai sensi dell’art. 3 CEDU, ha precisato che, a fronte delle sue denunce a riguardo, le autorità nazionali avrebbero dovuto condurre indagini effettive, circostanza non verificatasi. La Corte ha pertanto ritenuto sussistere la violazione dell’art. 3 CEDU nella sua dimensione procedurale).

Note

La ricorrente lamentava inoltre la violazione dell’art. 14 CEDU, affermando che il comportamento spezzante tenuto dalle autorità croate fosse dovuto alla sua origine etnica rom. Pur non riscontrando circostanze utili ad avvalorare l’accusa di discriminazione, la Corte ha osservato che l’origine etnica della ricorrente, insieme al suo sesso e ai suoi traumi passati, la collocava in una condizione di particolare vulnerabilità, che avrebbe dovuto spingere le autorità a reagire prontamente ed efficacemente alle sue denunce.